PIZZAUT E IL LAVORO ISTITUZIONALIZZATO

 

PizzAut Onlus è un’associazione che ha “l’obiettivo di sensibilizzare le Istituzioni e la società civile sul tema dell’occupabilità delle persone autistiche”. Nico Acampora, padre di Leo Acampora, un ragazzo nello spettro autistico, si è impegnato in questo progetto che ha visto nascere a Cassina De Pecchi, (MI), la “prima pizzeria in Italia gestita da personale autistico”. All’inaugurazione della sua seconda sede a Monza, ha partecipato anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella affermando che “Questo è un luogo non solo di esempio ma di normalità perché si lavora come tutti fanno”. Proprio dalle parole del nostro Presidente, e dal momento che Acampora di recente ha promesso solidarietà e collaborazione a numerose associazioni per l’autismo calabresi, vorrei aprire uno spunto di riflessione suscitando un dibattito sull’approccio istituzionalizzato al lavoro per le persone autistiche.

Sebbene l’iniziativa abbia lo scopo di offrire opportunità lavorative alle persone nello spettro, vorrei sollevare interrogativi sulla giustezza di assegnare solo a loro compiti specifici all’interno dell’attività, senza coinvolgerle nella gestione e nelle decisioni aziendali, dal momento che si vuole precisare sia un’attività “gestita da”, e cioè dovrebbe significare “amministrata, curata, diretta, condotta, comandata, ecc. da”.

L’obiettivo di PizzAut è lodevole: fornire un’occupazione significativa e un’opportunità di integrazione sociale, tuttavia, solleva la domanda se il sistema attuale sia davvero inclusivo e se rispetti pienamente le potenzialità e le aspirazioni di coloro che coinvolge.

Emerge un punto centrale: è giusto limitare la partecipazione delle persone autistiche solo alle mansioni operative, escludendole dalla sfera decisionale e imprenditoriale?

Il lavoro dovrebbe essere una fonte di realizzazione personale e crescita professionale per tutte le persone, indipendentemente dalle capacità o dal background. L’approccio che vede le persone autistiche coinvolte solo in compiti specifici può perpetuare la percezione che esse siano in qualche modo limitate nelle loro abilità e aspirazioni. Invece di considerarle meramente come esecutrici di mansioni, dovrebbero essere incoraggiate ad assumere ruoli più vari e responsabili, in linea con le loro competenze e interessi individuali.

Inoltre, un aspetto critico è la questione della rappresentanza. L’idea di PizzAut potrebbe sembrare positiva, ma se l’azienda non coinvolge attivamente le persone autistiche nelle decisioni aziendali, rischia di creare un divario di potere e rappresentanza. Le stesse persone che dovrebbero beneficiare dell’iniziativa potrebbero sentirsi prive di voce nella gestione dell’attività, portando alla mancanza di un’autentica inclusione.

L’approccio ottimale dovrebbe essere quello di fornire formazione e supporto per consentire alle persone autistiche di partecipare attivamente a tutte le fasi dell’attività, dalla pianificazione alla gestione e alla promozione. Questo garantirebbe una maggiore rappresentanza, permettendo di contribuire con le proprie idee e prospettive uniche. Inoltre, ciò potrebbe contribuire a combattere gli stereotipi e a promuovere una maggiore comprensione dell’autismo nella società: chi l’ha detto che una persona autistica non possa lavorare e guadagnare come tutte le altre in qualsiasi campo essa decida di specializzarsi?

Il fenomeno di PizzAut in Italia e tutti i numerosi progetti che giocano lo stesso ruolo solleva quindi la questione del lavoro istituzionalizzato. Il lavoro istituzionalizzato è un impiego fittizio dato da parte degli Enti di istituzionalizzazione attraverso associazioni, cooperative, ecc., per supplire al mancato e reale accesso al mondo del lavoro! Di fatto è una ghettizzazione spacciata per inclusione: perché SOLO persone autistiche a lavorare in quel posto? L’inclusione non si fa solo tra persone disabili o autistiche!. Perché, poi, solo questo tipo di lavori? E al contrario di ciò che ci viene detto, queste aziende non vengono realmente “gestite” dalle persone autistiche, che sono solo impiegate in pieno stile socio-assistenziale, paragonabile al volontariato.

Mentre queste iniziative sono a un passo nella giusta direzione per fornire opportunità, purtroppo viste come uniche risorse sociali anche di supporto alle famiglie, è essenziale considerare un approccio più completo e inclusivo che non può prescindere dal garantire il diritto al lavoro, partendo dal diritto all’istruzione che di fatto, per le persone autistiche dopo i 18 anni, non sono tutelati da alcuna Legge in vigore.

Solo allora avrebbero senso compiuto le parole di Mattarella “si lavora come tutti fanno”, dove tutte e tutti hanno pari diritti e pari opportunità di lavorare.  


Pubblicato il 18 Agosto 2023 sul Quotidiano del Sud Calabria per la rubrica "Diritti&Diversi"


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FOTO DAL WEB

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