SULL'ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLE PERSONE CON DISABILITA' INTELLETTIVE
L’istituzionalizzazione
delle persone con disabilità intellettive rappresenta un tema di grande
rilevanza sociale ed etica strettamente legato alla promozione dei diritti
umani e all’inclusione. La parola deriva da “istituto” e definisce quelle
situazioni in cui le persone disabili trascorrono le giornate in strutture
residenziali relazionandosi solo tra di loro essendo gestite senza libertà di
autodeterminarsi. È una pratica oggetto di dibattito e critica specialmente
alla luce degli articoli della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con
Disabilità.
Il Trattato,
adottato nel 2006, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per
promuovere la piena partecipazione e l’uguaglianza delle persone disabili. In
particolare, l’Art.19 sottolinea il diritto di vivere in modo indipendente e di
essere inclusi nella società: alle persone con disabilità deve essere
garantito il diritto di essere coinvolte attivamente nei processi decisionali
relativi alle politiche e ai programmi, inclusi ed in particolare quelli che le
riguardano direttamente, nonché alla gestione di tutti i servizi di cui
fruiscono in quanto cittadini.
L’istituzionalizzazione
è in netto contrasto con questo principio poiché tende a separare le persone
dalle opportunità sociali e a limitare l’autodeterminazione.
I danni
dell’istituzionalizzazione sono molteplici. In primo luogo, vi è l’isolamento
sociale. Le strutture istituzionali tendono a creare barriere tra le persone
con disabilità intellettiva e la società circostante poiché manca l’interazione
sociale, elemento cruciale per lo sviluppo emotivo e relazionale di ogni
individuo.
Altro danno
significativo è la sottoutilizzazione delle capacità. Ogni persona ha talenti e
abilità uniche, ma l’ambiente istituzionale spesso non permette di sviluppare
appieno queste potenzialità causando frustrazione e senso di inutilità,
influenzando negativamente la percezione di sé e il benessere psicologico.
La
depersonalizzazione è un altro aspetto nocivo: trattare le persone disabili
come un gruppo omogeneo anziché come individui con bisogni e desideri unici
contribuisce a privarle della loro identità.
Altro grave
danno è la mancanza di autonomia. Le istituzioni tendono a limitare le scelte
personali controllando aspetti fondamentali della loro vita quotidiana,
impedendo lo sviluppo di competenze di vita indipendenti. Il controllo è anche
sull’aspetto sessuale personale e le relazioni sessuali romantiche (e non), di
fatto, queste persone spesso vengono “castrate” psicologicamente e viene
imposto il divieto di sperimentare la propria sessualità e il sesso,
considerando solo come “pulsione cattiva da gestire” i naturali stimoli
fisiologici e il desiderio sessuale.
Non solo,
gli interventi terapeutici all’interno delle strutture sono spesso agiti dentro
a regimi decisionali sostitutivi, si pratica la “sterilizzazione coercitiva”,
che sebbene nel nostro Paese sia proibita, viene ancora agita in particolar
modo sulle donne con disabilità intellettive che firmano inconsapevolmente le
autorizzazioni per le punturine per non rimanere incinte.
Gli Art.14 e
15 della Convenzione ONU pongono l’accento sul diritto all’integrazione
nell’istruzione e all’accesso all’occupazione. L’istituzionalizzazione compromette
questi diritti, le persone coinvolte sono spesso escluse dal sistema educativo
e hanno limitate opportunità lavorative.
Infine, la
salute mentale può essere gravemente colpita, l’assenza di controllo sulla
propria vita e di stimoli significativi possono causare stress, ansia e
depressione, ciò impatta sia sulle persone con disabilità intellettiva che
sulle loro famiglie.
Alla luce di
questo, bisognerebbe lavorare per smantellare le barriere che perpetuano
l’istituzionalizzazione e garantire a ogni individuo, indipendente dalle sue
abilità, la possibilità di vivere una vita piena e significativa promuovendo la
sua indipendenza e autonomia. La Calabria, e tutto il nostro Sistema Sanitario
Nazionale, ha al contrario politiche affatto inclusive che incentivano la
nascita di queste strutture finanziandone le costruzioni al posto di prevedere
fondi per gli strumenti per tutelare diritti umani e costituzionali quali
salute, istruzione e lavoro già dall’infanzia.
A voi
piacerebbe essere rinchiuse in un istituto e perdere la vostra libertà?
Pubblicato il 22/01/24 sul Quotidiano del Sud Calabria per la rubrica "Diritti&Diversi"
Credit foto dal web
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