INTERVISTA A FABRIZIO ACANFORA. Il paradosso dell'inclusione


Per comprare un chilo di kiwi andreste in una falegnameria?La risposta è scontata; vorrei però prendere questo frutto esotico, apparso in Italia alla fine degli anni Settanta, come emblema di un concetto oggi molto alla moda, scudo e baluardo di tante battaglie politiche ed umanitarie, che si esprime nelle parole “inclusione nella società delle persone diverse”.


Ora, se pur sconosciuto e guardato con sospetto all’inizio, forse per la sua buccia pelosa e la polpa verde, il kiwi non ha mai avuto altra collocazione che l’interno di una cassetta del fruttivendolo, poiché tale è indubbiamente il suo status: frutta! 
Allora mi chiedo: perché bisognerebbe “includere” nella società uomini o donne che per il loro status di persone, di umani, sono già parte di essa?

Il significato della parola inclusione, da questo punto di vista, ha un’accezione affatto positiva; se devo includere qualcuno vuol dire che prima, per una serie di motivi, l’ho escluso.
È un problema di linguaggio”, afferma Fabrizio Acanfora, musicista, scrittore, divulgatore scientifico, che nel suo ultimo libro “In altre parole. Dizionario minimo di diversità”, edito da Effequ, sgretola la semantica dei termini a cui siamo ormai assuefatti e che utilizziamo per parlare di diversità, ricostruendo il concetto di inclusione dalla prospettiva di chi la “subisce”.

“Sono partito dalla neurodivergenza”, dice Acanfora, “da autistico, ho potuto sperimentare come la descrizione che gli altri fanno della mia condizione sia diametralmente opposta a come la vivo io. Spesso i termini non sono giusti e la narrazione è fatta con parole di sofferenza e di dolore… “soffre” di autismo, si dice erroneamente, ma questo ti fa capire quanto il mondo ti veda sofferente quando tu non sei come gli altri”.

Il linguaggio, quindi, è uno strumento estremamente concreto attraverso cui la realtà prende forma: se le parole sono inesatte, anche la realtà sarà distorta; inoltre le parole sono anche quelle con cui si scrivono le leggi a favore delle persone disabili, o neurodivergenti, o comunque diverse, ma chi le scrive queste leggi? Altri, non i diretti interessati, molto spesso basandosi su descrizioni che veicolano messaggi sbagliati, promuovendo così una falsa inclusione delle minoranze sociali.

“Prima si parlava solo di “integrazione””, racconta Acanfora, “processo per cui una persona diversa può essere inserita nella società solo a patto che si adatti, si “normalizzi” perdendo, di fatto, parte della sua identità. Un po’ come succede agli immigrati. Tu vieni a casa mia, però devi imparare la mia lingua, ti devi adeguare alle mie tradizioni, devi stare alle mie condizioni. Pensiamo a tutti quegli atteggiamenti o comportamenti ritenuti socialmente sconvenienti che vengono discriminati da questa idea di integrazione… un bambino autistico che ha una crisi e magari è agitato, viene subito bloccato, fermato, isolato dagli altri fino a quando non ritorna “normale”; oggi si preferisce parlare di “inclusione”, che dovrebbe permettere alle minoranze sociali di esistere nella collettività mantenendo le loro caratteristiche (purtroppo sappiamo che non è proprio così), un passo avanti senza dubbio, ma c’è sempre qualcuno che decide chi può farne parte e chi no! Io persona normale includo te persona diversa, ma chi sono io per includere te, che potere ho rispetto a te? Chi mi ha dato questo potere? Ed io persona diversa, perché devo chiedere il permesso di entrare nella società se già ne faccio parte dal momento che sono nata?”.
La conoscenza approfondita assieme alla cura del linguaggio nel descrivere la diversità, sono fondamentali per cambiare le menti e demolire i pregiudizi. 

C’è una parola che Acanfora ritiene migliore della parola inclusione, ed è “convivenza”. Convivenza delle differenze, delle unicità di ciascun individuo; si sposa bene con la parola rispetto e la parola equità, perché “Diversità equivale a dire umanità” scrive l’autore nel libro, “essa non definisce una particolare categoria di esseri umani, ma descrive tutti noi”. Capite bene, allora, che la frase “inclusione delle persone nella società” afferma, a questo punto, un paradosso.

Pubblicato il 28 Dicembre 2021 su Il Quotidiano del Sud Calabria per l'editoriale "Diritti&Diversi"

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