L'EDUCAZIONE NON CONOSCE DISABILITA'


Lo incontrai alla stazione di Lamezia Terme Centrale, salì al binario dalle scale del sottopassaggio con la carrozzina sollevata da 3 persone. Sulla cinquantina, corpulento, mangiava una rosetta con la mortadella alle 8 di mattina, la madre gli stava accanto, accarezzandogli i capelli brizzolati. “Ammamma, hai finito?”, gli chiese mentre lo spingeva in avanti, “No ma’, dammi l’acqua”.

Aspettavo il Frecciarossa per Roma, avevo trovato i biglietti all’ultimo momento in classe Business, e lo guardavo, mentre F., il mio collega, leggeva il giornale.

A un certo punto, lo vidi appallottolare l’involucro di carta del panino e lanciarlo a terra, con una nonchalance che mi indispettì; mi avvicinai, e fingendo che non l’avesse fatto di proposito, glielo feci notare e chiesi gentilmente se poteva raccoglierlo. La madre s’intromise prima ancora che lui potesse rispondermi, e disse “Ma come ti permetti? Non lo vedi che è sulla sedia a rotelle?”.

“Allora la raccolga lei la carta, il cestino è proprio lì dietro, signora”. Non lo fece, il treno arrivò puntuale e salimmo tutti sulla carrozza n.3, l’unica attrezzata con una postazione per le persone con disabilità motoria che usano la sedia a rotelle.

Io e F. eravamo seduti centrali, lui e sua madre nei posti avanti vicino alla toilette. Per un po’ continuò a parlare al telefono, a voce altissima, poi finì e attaccò a giocare col cellulare, lasciando la musichetta elettronica invadere tutta la carrozza, senza rispetto neppure per un bimbo piccolo che dormiva nel sedile dietro di loro.

“Calmati”, mi disse F. No, non potevo lasciar perdere: non sopporto le persone che se ne fregano delle altre così, di nuovo, andai verso di lui.

“Può abbassare la musica, per favore? Si sente alta, ho bisogno di riposare”. Mi guardò come se gli avessi chiesto di fare i 300 a ostacoli, e stavolta mi parlò rivolto a sua madre “Ma che vuole questa mò? Non avete rispetto di noi disabili!”, urlando. “Ammamma, lascia stare questa gentaglia… ma che fastidio ti dà mio figlio? È un disabile!”.

“Signora”, dissi simulando i denti serrati sotto alla mascherina, “il fatto che suo figlio, adulto e vaccinato, abbia una disabilità, non significa che sia immune dall’educazione”.

In quel momento, passò il controllore e mi gustai la scena, con la coda dell’occhio, tornando al mio posto: si piegò verso la madre - notare: non verso il maleducato - e le disse con una voce dolcissima di invitare “il ragazzo” ad abbassare la suoneria, scusandosi per la richiesta (lecita) di rispettare le regole.

“Ammamma, dài spegni, ché tra un’ora siamo arrivati”.

Questa cosa che le persone con disabilità siano piccoli angeli indifesi, eterni fanciulli anche a 50 anni, capaci solo di pensieri innocenti o senza un loro pensiero, deve finire. Vi ci rivolgiamo con toni melensi, e con quell’imbarazzo misto a compassione che non dovremmo avere, perché la sedia a rotelle non è il simbolo della bontà sofferente, ma semplice diversità: va rispettata la persona che ci è seduta sopra, e da questa ci si aspetta anche rispetto.

Infantilizzare le persone con disabilità, toglie loro ogni prospettiva di sopravvivenza nella società; la colpa, forse, è prima di quei genitori che invece di educare tolgono ogni possibilità di questa prospettiva di autodeterminazione e inclusione sociale: il senso di dignità personale è insito nell’educazione, nel rispetto di sé stessi e del mondo attorno: un bambino maleducato sarà un adulto maleducato con, o senza, disabilità.

Il signor Ammamma scese a Salerno, girò la carrozzina con le spalle all’uscita e mi fece il dito medio, favore che ricambiai subito. F. mi guardava divertito ripetendomi “Non cambierai mai”. E anche questo è vero.


Pubblicato il 18 Maggio 2022 su Il Quotidiano del Sud Calabria per l'editoriale "Diritti&Diversi"


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