PECORE NERE FUORI DAL CORO? La bambina-pigna e il maglione di lana rossa




Vi è mai successo di sentirvi fuori dal coro?
A me è capitato, letteralmente, quella volta che mi rifiutai di indossare un maglione rosso di lana che mia madre s’imprestò dalla figlia della vicina di casa, in occasione della mia prima recita di Natale.

Mi presentai all’asilo con una camicetta marrone (l’unica che avevo che declinasse qualche gradazione attinente al rosso), sopra a un gonnellino di velluto, verde, fatto cucire identico per tutte le bambine dalla sarta della scuola.

Ricordo la faccia inorridita della maestra che quando mi vide cominciò a rimproverarmi dicendo che assomigliavo a una brutta pigna capricciosa, non alla meravigliosa stella di Natale che dovevo interpretare sul palco. Io non cedetti: il solo pensiero di sentire sulla pelle quell’intreccio infernale di fili d’ortica mi terrorizzava oltremodo, così cantai vestita da pigna dentro al coro di euphorbie pulcherrime (è il nome scientifico della pianta che ho smesso di amare da quella sera), relegata dietro alla fila di fondo e ben celata dai maschietti più alti di me, ché non sia mai qualcuno potesse notare la differenza…

Ecco: la differenza. 
Appresi da quell’esperienza che se sei statisticamente differente dal resto, diventi oggetto di scarto o motivo di scandalo, in nome di un gioco di paragone e giudizio a cui siamo ormai assuefatti e che si basa sulle regole della “normalità normale”, norme stipulate dalla maggioranza (le pecore bianche dalla lana buona, per rimanere in tema di tessuti), che però non tiene conto della “normalità diversa” delle pecore nere, discriminando, quindi, e occultando il loro diritto ad esistere: non importa quanto fossi brava a cantare, io dovevo comunque rimanere nascosta.
Oggi si parla molto di inclusione nella società delle “persone diverse”, per colore della pelle, per identità di genere, perché malate, povere, o che vivono condizioni di neurodivergenza come l’autismo, ma il problema è che a parlare e a legiferare sulla tutela e sui diritti delle minoranze sociali è sempre la solita fetta di mondo più grande, quella considerata “normale”: come può un dirigente scolastico che non abbia problemi di udito comprendere a fondo tutte le necessità di un bambino sordo a scuola? Come fa un ministro alla cultura ad incentivare il consumo di libri tra i ragazzi se nelle biblioteche non ci sono testi scritti anche in Braille o redatti per chi ha Disturbi Specifici dell’Apprendimento? Come fa un sindaco a far rispettare i parcheggi per i disabili se prima non costruisce la sua città con gli accessi e gli spazi adeguati a chi vive s’una sedia a rotelle? 
Perché continuare a negare la diversità?
Questa rubrica si propone di dare voce ai diretti interessati, la minoranza discriminata, attraverso il racconto della loro normalità, per conoscerla meglio, cercando di scardinare gli stereotipi che ruotano attorno a ciò che viene definito e percepito come diverso. Prenderemo l’abitudine a un linguaggio più corretto e rispettoso nella consapevolezza che siamo tutti e tutte “persone”: l’etichetta che definisce un malato o un disabile, non definisce mai l’identità di quell’essere umano.

E poi c’è lo Stato, che dovrebbe trattare tutti e tutte in modo equo, ma pretende di far passare come “servizi” ciò che invece è tenuto ad esplicare come doveri verso tutta la società, nascondendosi dietro ad interminabili iter burocratici. L’obiettivo di questa pagina è anche quello di informare le persone a tutelarsi e conoscere i propri diritti.

Un ultimo quesito: cosa sarebbe successo se la bambina-pigna che non sapevate allergica alla lana avesse indossato il maglione malefico, muovendosi, grattandosi e piangendo, disturbando così la performance del coro? Voi, come avreste giudicato?

Pubblicato il 21/12/2022 su Il Quotidiano del Sud Calabria, editoriale Diritti&Diversi


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